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Accolto e tracimante

Data: 15-05-2025, in Commenti al Vangelo

domenica V di Pasqua - fra Ermes Ronchi

Quando Giuda fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri». Gv 13,31-33a.34-35 

ACCOLTO E TRACIMANTE

Amare è il compimento della parabola della vita. Se ami, non sbagli. Se ami, non fallisci la vita. Se ami, la tua vita è stata un successo, comunque.

Se cerchiamo la firma inconfondibile di Gesù, il suo marchio esclusivo, lo troviamo in queste parole. Pochi versetti, registrati durante l’ultima cena quando, per l’unica volta nel vangelo, Gesù chiama i suoi discepoli: “Figlioli”, con un termine speciale, affettuoso, carico di tenerezza: figliolini, bambini miei.

«Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate come io vi ho amato». Parole infinite, in cui ci addentriamo come in punta di cuore.

Ma perché comandarlo, quando l’amore non si finge, non si mendica, non si impone?

E perché ‘nuovo’, se quel comando innerva già tutta la bibbia, legge e profezia?

La Bibbia intera è una biblioteca sull’arte di amare. E qui siamo forse al capitolo centrale: amatevi come io ho amato voi. La novità emerge dal piccolo avverbio “come”. Gesù non dice amate ‘quanto me’, lui parla della qualità dell’amore. Lo specifico del cristiano non è amare, lo fanno già in molti, sotto ogni cielo, bensì farlo come lui.

Non quanto me, non ci arriveremmo mai. ma ‘come me’, imparate dal mio stile, dal mio modo: lui che lava i piedi ai discepoli e abbraccia i bambini; che vede uno soffrire e prova un crampo nel ventre, un’unghiata sul cuore; che quando si commuove va vicino e tocca, tocca la carne, la pelle, gli occhi; che non manda via nessuno mai. In cerca dell’ultima pecora, alle volte coraggioso come un eroe, alle volte tenero come un innamorato. Amore non di emozioni, ma di mani, fattivo, di pane. Ecco come ci obbliga a diventare grandi, e accarezza e pettina le nostre ali perché diventino più forti e possiamo spiccare il volo, e volare lontano.

Come io ho amato voi. Gesù usa i verbi al passato; non parla della croce che già si staglia in fondo alla notte, parla di cronaca concreta, appena vissuta, nell’ultima cena, quando Gesù, nella sua creatività, inventa gesti mai visti: il Signore che lava i piedi nel gesto dello schiavo o della donna, che offre il pane anche a Giuda, che lo ha preso ed è uscito. E sprofonda nella notte. Dio è amore che si offre anche al traditore, e fino all’ultimo lo chiama amico.

Amore reciproco: gli uni gli altri, cioè cominciando da chi è vicino, occhi negli occhi, faccia a faccia, a tu per tu. È la terminologia caratteristica della prima comunità cristiana.

E guai se ci fosse un aggettivo a qualificare chi merita il mio amore: È l'uomo, ogni uomo. Perfino l'inamabile, perfino Caino, perfino Giuda.

Allora capisco il comandamento non come una imposizione, ma come il fondamento della storia e il compimento della parabola della vita. Se ami, non sbagli. Se ami, non fallisci la vita. Se ami, la tua vita è stata un successo, comunque.

Se ognuno di noi sarà il racconto di un gesto di Cristo, diventerà canale attraverso il quale l'amore, come acqua che feconda, circolerà nel mondo.

p. Ermes Ronchi