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ACCOGLIENZA - Intervento di Franco Balzi a Santa Maria

Data: 11-08-2023, in Notizie

“ACCOGLIENZA”

Intervento di Franco Balzi

Santa Maria del Cengio (Isola Vicentina), 6 agosto 2023

Oggi proviamo a parlare di ACCOGLIENZA, e a rispondere ad alcune domande.

1. L’accoglienza si può fare?

2. Che ruolo posso avere, io, in questo?

3. E che senso può avere, per ciascuno di noi, che ci dichiariamo credenti?

Di accoglienza in realtà non si parla molto: si parla di sbarchi, di incessanti arrivi,

di emergenza. Ci arrivano da giornali e tv notizie tragiche, numeri impressionanti,

come i 30 mila morti nel Mediterraneo, da quando questo fenomeno è cominciato.

Immagini terribili, come quelle di Aylan di qualche anno fa, il piccolo che galleggiava

senza vita sulla spiaggia turca; o quella della mamma e la sua bambina, morte di

fame e di sete, ricacciata dalla polizia nel deserto tra Tunisia e Libia.

Non conosceremo mai i volti di chi ha vissuto queste tragedie, e poco sapremo

delle tante violenze che le hanno determinate (nel deserto, nei boschi sulla rotta

balcanica, nei mari, nei campi dove sono imprigionati, con i soldi dell’Europa e

dell’Italia. Come reagiamo di fronte a questo?

A me pare che la reazione più frequente sia quella di difenderci dall’angoscia

che ci genera, cercando di rimuovere la questione: passiamo alla notizia successiva,

ritorniamo alla nostra quotidianità, per non pensarci troppo. Ci anestetizziamo. E’

una reazione comprensibile: serve a proteggerci. Ma così diventiamo distanti,

indifferenti, rinunciamo alla nostra umanità. E ci dimentichiamo di loro.

L’immigrazione muove le nostre paure profonde: quelle del diverso, dello

straniero; quelle di perdere il nostro benessere, la nostra tranquillità. Ma anche chi

si ribella a questa deriva si trova di fronte a un grande senso di IMPOTENZA: cosa

posso fare io di fronte a un problema così grande, così complesso?

Ci giustifichiamo e deleghiamo “a chi compete”: Europa, governo, prefettura.

Lasciamo a loro la responsabilità di decidere, di fare, di trovare soluzioni. E così

arriviamo a chiudere gli occhi, e diventiamo complici dei trattenimenti forzati, in

Libia, in Turchia, in Tunisia; dei respingimenti in mare, dei soccorsi impediti, dei porti

chiusi; dei muri che si erigono, delle violenze, delle espulsioni illegali.

Rimuoviamo tutto questo. Eppure i risultati sono sotto gli occhi di tutti: queste

scelte politiche, oltre che disumane e inaccettabili, sono inefficaci.

In queste ultime settimane sono sbarcate in Italia mille persone al giorno; da

inizio anno il ministero ha certificato l’arrivo di 100 mila profughi, a cui si aggiungano

almeno 10 mila della rotta balcanica, che neppure trovano spazio nelle statistiche.

Le persone arrivano: non c’è muro, barriera, violenza che li fermi: non c’è pericolo di

perdere la vita che può arrestare il loro desiderio di futuro, che non trovano più.

Le persone arrivano, inarrestabili, qualcuno già lo prevedeva 40 anni fa, perché

questo fenomeno è il frutto di politiche folli, di disuguaglianze inaccettabili che

abbiamo contribuito a determinare. Di responsabilità gravi, di cui ora la Storia ci

presenta il conto. E così sarà anche negli anni a venire.

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L’idea di poterli fermare non è solo sbagliata, è anche un’illusione. Dobbiamo

cambiare approccio, cambiare le nostre politiche sull’immigrazione: se non per

giustizia, come si dovrebbe, almeno per pragmatismo.

Le persone arrivano. E alla fine arrivano da noi, e bussano alle porte delle

nostre case, dei nostri municipi. Nelle ultime settimane sono 15-20 ogni giorno.

Sono 500 persone al mese. Sono tante? Sono troppe? “Come possiamo fare?”

“Non è possibile dare una risposta”, dicono molti. Si vuol far credere che

l’accoglienza non sia possibile, ma non è così! Assistiamo anche qui, come ovunque,

ad un altro spettacolo indecoroso, che diventa tragico, giocato sulla pelle delle

persone che arrivano e di tutti noi: il rimpallo delle responsabilità tra sindaci e

prefettura, fondato su quel “non sono in grado di fare nulla… non ho posto… devo

occuparmi di altro…” A queste “non scelte” si aggiungono spesso parole violente,

disumane, che si fa persino fatica a ripetere.

E così restiamo paralizzati in una situazione di continua EMERGENZA, che non

è determinata dai numeri - che possono essere gestiti - ma dalla nostra insipienza.

Serve una risposta strutturata, non emergenziale, ed esiste già: è legge dello

Stato da più di 20 anni, e si chiama SAI - Sistema Accoglienza Integrazione, ma non

la vogliamo utilizzare.

E così il libro tragico dell’emergenza aggiunge un capitolo dopo l’altro:

Albania, Jugoslavia, Nord Africa, Siria, Afghanistan, Ucraina… Drammi diversi, che

hanno generato lo stesso risultato: la fuga di milioni persone da luoghi dove non si

poteva sopravvivere: guerre; persecuzioni religiose; ora il cambiamento climatico.

Affrontiamo questi arrivi, queste richieste di asilo – che la nostra Costituzione

garantisce – con le solite risposte: ammucchiamo le persone in vecchi alberghi, in

caserme, in tendopoli, in centri di espulsione. Oggi li chiamiamo “hotspot regionali”

ma la sostanza resta sempre quella: sbagliata. E non va bene nemmeno quando li

affidiamo tramite la Prefettura a soggetti che speculano sui loro bisogni, in luoghi

dove non si fa alcuna vera accoglienza (la gran parte dei CAS sono infatti solo luoghi

di contenimento).

Esiste un’alternativa più efficace? E soprattutto più rispettosa delle persone?

L’esperienza concreta sviluppata a Santorso da ormai 20 anni, ci dice di sì! E’ un

fatto concreto. Il Progetto SAI/Oasi ha seguito più di 800 persone, con i suoi attuali

89 posti di accoglienza, sparsi in tredici Comuni dell’alto vicentino. Lo dimostra

concretamente anche il recente progetto La Tenda di Abramo, che nell’ultimo anno

ha coinvolto 27 Comuni, e ha permesso l’accoglienza di 130 persone ucraine. Non è

un velleitario sogno adolescenziale: è un’operatività concreta, efficace, che dimostra

che l’accoglienza si può fare. Una buona accoglienza, compatibile con le esigenze e

le risorse di una comunità si può fare se:

1. Si realizza una RESPONSABILITÀ condivisa tra territori, tra diversi Comuni,

dove ognuno fa la propria piccola parte.

2. Se si rispetta un principio di SOSTENIBILITÀ, che chiede ad ogni territorio un

impegno ragionevole: il criterio del 3x1000 significa accogliere 3 rifugiati ogni

mille abitanti (per Santorso, meno di 6 mila abitanti, si traduce in 18 persone).

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3. Se si realizza un’ACCOGLIENZA DIFFUSA, ossia la dislocazione di queste

persone in piccoli nuclei, in normali appartamenti, che garantiscono le migliori

condizioni per una buona INTEGRAZIONE

4. Se si garantisce una gestione seria: attraverso la titolarità del Comune, è

possibile individuare gestori del servizio competenti, professionali, in grado di

gestire situazioni complesse e di lavorare non solo a favore delle persone

accolte, ma anche della comunità che accoglie

Tutto questo chiama alle proprie responsabilità gli amministratori locali, che

devono assumersele, e che devono essere chiamati a farlo dai loro concittadini.

Chiama in causa anche ciascuno di noi, a cercare di dare il nostro contributo.

Nelle mille forme possibili e necessarie, perché ognuno può fare la propria piccola

ma indispensabile parte. Chiama in causa soprattutto noi, che ci richiamiamo ad un

Dio che chiamiamo Padre. Ad un Padre che attraverso suo Figlio ci ha insegnato a

chiamarci Fratelli, e ad occuparci del Prossimo come di noi stessi.

Alle paure e al senso di impotenza, possiamo rispondere con un atteggiamento di

speranza, di fiducia, di apertura alla vita, perché è su questo che si fonda la nostra

pur fragile fede. Alle preoccupazioni e alla complessità dei problemi, possiamo

rispondere con l’impegno a costruire una visione diversa del mondo. Lo possiamo

fare con tante scelte concrete, che possono coinvolgere le nostre parrocchie, il

nostro essere comunità di fede, il nostro essere Chiesa. Negli ultimi giorni si sono

registrati alcuni passi pubblici importanti, in questa direzione:

 La lettera che il Vescovo di Vicenza ha spedito ad ogni parroco, invitandolo ad

un’azione concreta di accoglienza

 La lettera del sindaco e del parroco di Marano Vicentino, con un appello ai

compaesani per mettere a disposizione delle case dove accogliere (perché è

questo il problema principale e urgente da risolvere)

 Il lungo articolo sul quotidiano locale del sindaco di Zugliano, con un analogo

appello.

Oggi il problema più grande è quello di trovare le case, spazi dignitosi dove fare

buona accoglienza. Sappiamo bene che la carenza di immobili da affittare è un

grande problema, e che riguarda molti, a partire dagli sfratti di chi non riesce a

pagare l’affitto. Problema paradossale: molte case sono vuote e inutilizzate. In una

comunità solidale è possibile risolverlo, non dimenticando nessuno, e senza fare

graduatorie di merito. Serve uno sforzo collettivo per superare problemi e

resistenze, di fronte a un bisogno che non si può ignorare.

Prima di concludere vorrei chiedervi di condividere con voi una mia semplice

riflessione su una pagina del Vangelo che da qualche tempo “mi dice” molto.

Quando la ascoltavo da giovane la consideravo una sorta di favola per bambini,

inverosimile, e pure un po' banale: il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei

pesci. Oggi la guardo con occhi diversi, e ci ritrovo qualcosa di straordinario.

E’ sera, e sono nel deserto. Come noi, che viviamo un tempo buio, inaridito. I

discepoli si rivolgono preoccupati a Gesù, dicendogli che non c’è nulla per sfamare

quella gente, che è meglio congedarla e “rimandarla a casa”, molti potrebbero

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morire. Sono generosi, nella loro sincera preoccupazione, ma si sentono impotenti.

Che tornino a casa loro (oggi diremmo: ci restino, a casa loro), perché qui non

abbiamo nulla da offrire. Gesù dice qualcosa che li lascia sconcertati: assicura che

una soluzione esiste: “non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare”.

Nella loro reazione riconosco la nostra a quello che ci accade oggi: “come

possiamo fare? Non abbiamo risorse a sufficienza… quello che dovremmo dare a

loro lo andremo a sottrarre a noi, e questo è nostro, e comunque ci serve…”

I discepoli sono inizialmente increduli, ma Gesù con le sue parole e i suoi gesti

li rassicura, li guida, e soprattutto li mette in azione. Il vero miracolo lo fa fare a loro.

Non li manda a comprare il pane: li invita a cercare in quello che già hanno, solo

all’apparenza insufficiente. Non si mette lui a dispensare: si limita a indicare, a

benedire. Il lavoro miracoloso della distribuzione lo fa fare a loro. Il primo miracolo è

che i discepoli si fidano di lui, prendono quelle ceste che sembrano vuote e iniziano

a distribuire... E così scoprono che quello che appare impossibile, si può fare. E si

può fare bene. Distribuendo quel poco che hanno – cinque pani e due pesci – (un

po' di lavoro e poche case, diremmo noi) scoprono che ce n’è per tutti. Addirittura

ne avanzano. Perché la condivisione e la solidarietà creano abbondanza.

Il miracolo non è solo per chi ha fame, ma resta lì seduto sull’erba, è anche

per chi condividendo quello che ha, perché più fortunato, cambia se stesso.

Si dice spesso – quando si parla di braccia che mancano per i lavori che

servono – che il loro arrivo è un’opportunità per il nostro Paese. Io credo sia davvero

un’opportunità, ma da un altro punto di vista. La solidarietà che la loro richiesta di

aiuto può determinare è un’occasione di cambiamento PER NOI. Il loro “fastidioso

arrivo” è in realtà davvero un dono, che ci aiuta a metterci in discussione, e a

modificare il nostro modo di interagire con il mondo e con le persone. Come singoli,

ma anche come comunità.

La nostra civile Europa e il nostro tanto invidiato mondo con il suo opulento

benessere hanno secoli di sopraffazione e sfruttamento nei confronti di quei popoli

da farsi perdonare… E anche la Storia, come la Vita, arriva a presentare i suoi conti.

Stamattina ascoltavo su internet il commento al Vangelo di Luigi Verdi: diceva

che “la speranza muove la Storia”. E’ una bellissima frase. Che dà tanta speranza. A

me veniva in mente anche la canzone di Francesco De Gregori, che dice “la storia

siamo Noi... nessuno si senta escluso”. Io aggiungerei: ognuno si senta interpellato,

nel cercare di fare la propria parte. Grazie a tutti voi. Condividiamo questa speranza.

E questo sforzo per trovare le risposte che servono.

Franco Balzi

Sindaco di Santorso (VI)