IV di Quaresima - 19 marzo - fra Ermes Ronchi
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio (...) Giovanni 9, 1-41
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L'ALBEGGIARE DIVINO IN NOI
Una religione immiserita a questioni di peccato che Gesù capovolge all’istante: l'uomo non coincide con il suo errore, mai. Esso non spiega Dio, che è compassione, futuro, amore che fa ripartire a cuor leggero.
Lungo i suoi tre anni sulla strada Gesù incontra molta gente, ma oggi, per la via, incrocia l’ultimo degli ultimi: un cieco, innocente e innocuo. Gli si avvicina, lo tocca. Lo riconosciamo! Solo lui passa oltre le colpe che sembrano interessare tutti, ma non Gesù.
La muta speranza del cieco non chiede, non gli chiede, il perché della sua condanna: cerca solo a tentoni mani che lo tocchino, e che sugli occhi spenti gli infondano un po’ di vita. Alla sua impurità cerca partecipazione, non spiegazione.
Invece i farisei su questo hanno eretto una serie di parole e sofismi per non ascoltare la vita. È il mondo ad essere cieco! Infatti sulla bocca dei farisei il termine più ricorrente è “peccato”, innalzato a teoria per spiegare il mondo e la sua realtà.
Una religione immiserita a questioni di peccato che Gesù capovolge all’istante: l'uomo non coincide con il suo errore, mai. Esso non spiega Dio, che è compassione, futuro, approccio ardente, amore che fa ripartire a cuor leggero.
Gesù non parlerà di peccato se non per dire che è perdonato; che Dio non si spreca in castighi, che non indugia sul moralismo. Che l'essenza etica del suo Vangelo è il valore assoluto di ogni persona, che la nostra vita è un quotidiano e continuo albeggiare. Che Dio albeggia in noi.
Gesù si fa culla per le nostre albe, e seguirlo è rinascere.
Con poco fango, con la creta di poca polvere impastata a saliva, ecco un minimo nuovo creato, che Gesù stende su quelle palpebre innocenti e giudicate, bozzolo chiuso nel buio. E come con la bambina di Giairo, lo congeda con “Kum!”: “Alzati!”. Risorgi e vai dove tutti ti possano vedere con occhi nuovi. E fallo anche tu, illumina la tua vita.
In questa piccola liturgia di mani e saliva, celebrata con fragile argilla impastata d’amore, Gesù è Dio che si contamina con l'uomo, è l'uomo contagiato di cielo.
“Vai alla piscina di Siloe!”. Il mendicante cieco si aggrappa al bastone e ad una carezza sugli occhi. Si fida di un miracolo che ancora non c'è, di un salto nel buio.
Andò, e tornò che ci vedeva.
Non siederà più a terra a invocare pietà, ma starà ritto in piedi con la faccia nel sole, finalmente libero. Finalmente uomo.
Di fronte alla gioia di un uomo che per la prima volta vede gli occhi di sua madre, anche gli alberi applaudono, anche i fiumi battono le mani, come dice il salmo.
Ma l'uomo nato cieco passa da miracolato a imputato. Ai farisei delle certezze e della teologia morale non interessano quegli occhi tornati a splendere, ma la “sana” dottrina. E sul guarito di sabato avviano un processo per eresia.
Ma la strada maestra della Chiesa è l'uomo. Sempre.
Una carezza di luce sul cieco: Gesù lo illumina e tutti ne siamo sanati. Ci dice che se una esperienza regala vita, allora è buona e benedetta. Perché legge suprema di Dio è che l'uomo viva.