domenica 27 giugno - p. Ermes Ronchi
In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. (...) Marco 5, 21-43
commento di p. Ermes per i social
Gesù non spiega il male, ci entra, lo invade con la sua presenza, dice: io ci sono.
IL SOLE RUBATO
Gesù cammina accanto al dolore di Giairo, padre di una bambina morta a 12 anni, l’età in cui è d’obbligo fiorire, non soccombere.
Come è possibile non temere quando la morte è entrata in casa mia, e si è portata via il mio sole?
Così una donna che aveva molto sofferto, ma che si ribella al suo dolore, si avvicina a Gesù, e come mezzo per guarire vuole credere nel tocco della mano. L'emorroissa, la donna impura, condannata a non essere toccata da nessuno - mai una carezza, mai un abbraccio - scardina la regola con il gesto più tenero e umano: un tocco, una carezza per dire: ci sono anch'io! L'esclusa scavalca la legge perché crede in una forza più grande della legge. Si illude?
La fanciulla non è morta, ma dorme. E lo deridono. Tu credi nella vita dopo la morte? Sei un illuso. E Gesù a ripetere: "tu abbi fede", lascia che la Parola salga alle labbra con l'ostinazione degli innamorati. Dio è il Dio dei vivi e non dei morti.
Allora Gesù cacciò tutti fuori di casa. Bellissimo e tremendo questo “cacciare” ciò che non vive, ciò che non crede alla vita. Costoro resteranno fuori, con i loro flauti inutili, fuori dal miracolo, con tutto il loro realismo. La morte è evidente, ma l'evidenza della morte è una illusione, perché Dio inonda di vita proprio le strade più nere.
Gesù prende il padre e la madre, i due che amano di più, e non ordina cose da fare, ma li prende con sé; crea comunità e vicinanza. Ricrea il cerchio degli affetti attorno alla bambina, perché ciò che vince la morte non è la vita, è l'amore. E il tempo dell’amore è infinitamente più lungo del tempo della vita.
E mentre si avvia a un corpo a corpo con la morte ed entra nel suo mistero silenzioso, Gesù porta i suoi tre discepoli alla scuola dell'esistenza, vuole che si addossino, anche solo per un'ora, il dolore di una famiglia, per acquisire quella sapienza del vivere che viene dalla ferite vere, dalla sapienza sulla vita e sulla morte, sull'amore e sul dolore che non avrebbero mai potuto apprendere dai libri: c'è molta più “Presenza”, molto più “Cielo” presso un corpo o un'anima nel dolore che presso tutte le teorie dei teologi.
Ed entrò dove era la bambina. Una stanzetta interna, un lettino, una sedia, un lume, sette persone in tutto, e il dolore che prende alla gola. Quella non è solo la stanza interna della casa di Giairo, ma è la stanza più intima del mondo, la più oscura, quella senza luce.
Gesù entrerà nella morte perché là va ogni suo amato. E non spiega il male, ci entra, lo invade con la sua presenza, dice: io ci sono.
Su ciascuno di noi, qualunque sia la porzione di dolore che portiamo dentro, qualunque sia la nostra porzione di morte, il Signore fa scendere la benedizione di quelle antiche parole: Talità kum. Giovane vita alzati, riprendi la fede, la lotta, la scoperta, la vita.
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