Domenica 6 giugno - p. Ermes Ronchi
Santissimo Corpo e Sangue di Cristo – Il primo giorno degli azzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”» [...]
Mc 14,12-16.22-26
PICCOLO, BIANCO e SILENZIOSO
Stupendo Dio che non spezza nessuno, che spezza e sparge se stesso.
Prendete me… e non saprei come altro amarvi.
Da molti anni faccio la comunione, camminando verso l'altare, a volte un po’ distratto e inaffidabile, eppure Dio non si nega.
Sull'altare, un piccolo pane bianco che non ha sapore, che è silenzio, profondissimo silenzio. Che cosa mi può dare questo po' di pane, lieve come un'ala, povero e così piccolo da non saziare neppure il più piccolo bambino?
Per un istante mi affaccio sull'enormità di Dio che mi cerca, Dio che è arrivato, che mi assedia, che entra e trova casa. La mia processione verso l'altare è solo un pallido simbolo del suo eterno venire verso l'uomo, verso me. L'amore cerca casa. La comunione, più che un mio bisogno, è un bisogno di Dio.
Sono colmo di Dio. E non riesco a dire parole, non ho doni da offrire, non ho progetti alti, non coraggio. Ma dentro qualcosa si apre, perché vi si depositi l'orma lieve di Dio.
Faccio la comunione e Dio mi abita, sono la sua casa. L’incredibile Dio si accontenta di quel groviglio di paure, di quel nodo di desideri che io sono. E cerco di spremere pensieri e parole da dedicargli, ma finisco per regalargli il silenzio. Eppure Lui non mi ha mai lasciato. Mai siamo stati lasciati.
E’ tempo di pensare a Dio non solo come Padre che sostiene, ma come Madre presente, che nutre di sé i figli al suo petto, con il suo corpo. A Dio come Sposo, amore esuberante che cerca risposta. E l'incontro con lui è quello degli amanti nel Cantico: dono e gioia, intensità e tenerezza, fecondità e fedeltà.
«Ecco il mio corpo», e non, come ci saremmo aspettati: «ecco la mia mente, la mia volontà, la mia divinità, ecco il meglio di me», ma semplicemente, poveramente, il corpo. Il sublime dentro il dimesso, lo splendore dentro l’argilla, il forte dentro il debole.
Il Signore non ha portato solo salvezza, ma redenzione, che è molto di più. Salvezza è togliere qualcuno dalle acque che lo sommergono, redenzione è trasformare la debolezza in forza, la maledizione in benedizione, il tradimento di Pietro in atto d’amore, il pianto in danza, la veste di lutto in abito di gioia, la carne in casa di Dio.
Prendete questo corpo, vuol dire che Gesù ci consegna la sua storia: mangiatoia, strade, lago, volti, il duro della Croce, il sepolcro vuoto e la vita che fioriva al suo passaggio. E con il suo sangue versa il rosso della passione, il coraggio della fedeltà fino all'estremo.
Stupendo Dio, che non spezza nessuno, che spezza e sparge se stesso.
Prendete tutto di me… e con un balzo rivedo la piccola Rut: «Non insistere con me perché ti abbandoni; dove andrai tu andrò anch'io; il tuo popolo sarà il mio e il tuo Dio sarà il mio; dove morirai, morirò anch'io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separerà da te».
L’amore scavalca anche Dio, se quel Dio non è l’amore stesso.
Prendete me… e non saprei come altro amarvi.
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