Domenica 28 marzo - p. Ermes Ronchi
Cercavano il modo di impadronirsi di lui per ucciderlo. Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Àzzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturare Gesù con un inganno per farlo morire. Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo»(…). Marco 14,1 – 15,47
UN ALTRO MODO DI ESSERE UOMINI
Ecco l’uomo! Appare al balcone del mondo il volto di Gesù intriso di
sangue, e il dolore sotto cui vacilla è quello di tutti gli uomini; ciò
che appare non è lo splendore dell’Eterno, è il patire di un Dio
appassionato. «Dio prima patì e poi si incarnò. Patì perché l’amore è
passione» (Origene).
In questa settimana santa, dai giorni che sembrano venirci incontro
piano, uno ad uno, generosi di segni e luce, la cosa più bella che
possiamo fare è stare accanto alla santità delle lacrime, presso le
infinite croci sparse nel mondo, dove il crocifisso vive. E deporre
sull’altare di questa liturgia qualcosa di nostro: un po’ di conforto
dato, una lacrima, un’infinita passione per quel Dio che non scende dal
legno come farebbe qualsiasi uomo, qualsiasi potente; egli entra nel
pieno della morte perché là è risucchiato ogni figlio suo.
Qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato una falsa idea di Dio. Solo
la croce toglie ogni dubbio, abisso dove Dio diviene l’amante e l’Eterno
penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa.
«Amare significa patire e appassionarsi. E chi ama di più si prepari a patire di più» (S. Agostino).
Lo vedo nelle donne al Calvario, che da lontano stanno impotenti ad osservare. Con Lui, sempre.
Primo grumo di Chiesa, guardano Gesù con lo stesso sguardo
appassionato con cui Dio guarda l’uomo. E con quelle donne la Chiesa
rinasce ogni volta, nella contemplazione del crocifisso.
Scendi dalla croce, gridavano gli altri. Ma se scende non è più Dio, se
scende è sempre la solita logica a vincere, quella del più forte. No.
Gesù si consegna alla Notte, e passa dall’abbandono di Dio (perché mi hai abbandonato?) all’abbandono a Dio (a te consegno il mio spirito), assimilando, consolandoci nei nostri fallimenti.
Veramente era Figlio di Dio! Quando la Parola di Dio diventa grido, e
poi torna muta, ecco il primo atto di fede cristiano, in un uomo esperto
di morte. Che cos’ha visto nell’agonia di un morente? Non miracoli, non
risurrezioni. C’è solo un uomo dentro la sua morte.
Il guerriero non ha visto il risorto, ha visto il morente! Ma finire così è cosa solo da Dio, è rivelazione di suprema maestà.
In quella collina il soldato ha visto che questo mondo porta nel
grembo un altro modo di essere uomini. Le parole del soldato sono il
suo inginocchiarsi.
L’uomo non regge questo amore, e io arranco su questa croce, è troppo
lucente! Ma la croce non ci è data per capirla, è per lasciarci
sollevare, per stargli vicino, abbandonati all’abbandonato amore.
Suprema bellezza quel giorno fuori dalle mura, sulla collina! A dire che la nostra fede poggia su di un atto d’amore perfetto, e Pasqua mi assicura che un amore così non può essere deluso, non può morire, è più forte della morte.
Ogni grido, ogni abbandono può sembrare una sconfitta, ma se è
affidato al Padre ha il potere, al di là di noi, di far tremare le
grandi pietre
di ogni nostro sepolcro.
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L’entrata di Gesù a Gerusalemme non è solo un evento storico (…)