Domenica 28 febbraio – p. Ermes Ronchi –
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» (…).
Mc 9, 2-10
IL FASCINO DI DIO
La montagna è la terra che penetra nel cielo, il luogo dove si posa il primo raggio di sole e indugia l’ultimo. E’ il mondo che si innalza nella luce, che la cerca, la vuole.
Quella che Dio sceglie per parlare e rivelarsi.
Dalla domenica del deserto al Vangelo dell’estasi. Il mondo è imbevuto
di luce, lo sanno tutte le religioni, lo sanno gli innamorati, gli
artisti, i puri.
Le prime due domeniche di Quaresima sono sintesi del percorso che noi
credenti dobbiamo affrontare: evangelizzare le nostre zone d’ombra e di
durezza, liberando la luce sepolta in noi. Il Vangelo di domenica scorsa
chiedeva: convertiti.
Il Vangelo di questa domenica ne offre il risultato: mi giro e sono
irradiato, mi illumino, mi imbevo e mi immergo nel sole, simbolo primo
di Dio.
Gesù porta i tre discepoli sopra un monte alto, e le sue vesti diventano splendenti e luminose, come il volto.
Inevitabile, quando si è vicini a Dio.
Anche la materia è travolta dalla luce. Pietro ne è sedotto, ed esplode:
che bello essere qui, Rabbì! Non scendiamo! Mai più! La sua foga dice
che il pane nutriente della fede, per saziare, deve discendere da un
innamoramento incontenibile, che tracima.
Guardano i tre, si emozionano, sono storditi: davanti a loro ecco un padre che in ogni figlio semina la sua grande bellezza.
Vedono il volto di Gesù come il volto ultimo dell’uomo, come il presente del futuro.
E come tante cose intense, la visione non fu che un attimo.
«Una nube li coprì e venne una voce: ascoltate Lui». Il Padre prende la parola, ma per scomparire dietro quella del Figlio.
Bellissimo questo Onnipotente che si fa da parte. “Ascolta. Il
Signore è nostro Dio. Signore, solo Lui”. Ma il Suo mistero è ormai
tutto dentro Gesù: con Mosè, dal volto intriso di luce, con Elia, rapito su un carro di fuoco, ora tutta la bibbia tende a Cristo.
Sali sul monte per vedere e sei rimandato all’ascolto. Scendi, e
ti rimane nella memoria l’eco dell’ultima parola: ascoltate Lui.
Nostalgia infinita.
La nostra via lucis è l’ascolto, luce che è ancora qui,
nella Parola, nei sacramenti, nella bontà delle persone, nella bellezza
delle cose, talvolta una scintilla breve, talvolta fiume di fuoco.
La forza del cuore di Pietro è la scoperta della bellezza di Gesù, che
lo spinge ad agire (facciamo, qui, subito…). Succede anche a me: la vita
avanza per seduzione nata da una bellezza almeno intravista, anche solo
come freccia di un istante. Non certo da divieti.
È sbirciare dentro il Regno, vederlo come forza possente che preme con
urgenza per trasformarci, per spalancare infinite finestre di cielo.
Nostra vocazione è liberare, con gioiosa fatica, tutta la bellezza di Dio nascosta in noi. Guardarla. Ascoltarla. Riconoscerla.
Lo potremo fare attraverso l’ascolto della Parola,
memoria della luce, e come lei leggera.
Commento pubblicato su Avvenire
Il monte della luce, collocato a metà del racconto di Marco (…)
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