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L'un l'altro

Data: 29-04-2021, in Commenti al Vangelo

Domenica 2 maggio - p. Ermes Ronchi

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla (…)».

Giovanni 15, 1-8

L'un l'altro

Vangelo che ruota attorno ad una immagine concreta e ad un’azione: la vite, i tralci e il verbo «rimanere». Rimanete in me. Alla sola condizione, non condizionamento ma base dell’esistenza, di nutrirvi della mia linfa.

Non sono parole astratte, sono quelle dette anche dall'amore umano. Rimanere insieme, nonostante tutte le distanze, i lunghi inverni, le forze che ci trascinano via.

La bibbia è un libro pieno di viti e di uomini di cui Dio si prende cura, e dai quali riceve un vino di gioia. Per ogni contadino la vigna è il preferito tra i campi: noi siamo la piantagione prediletta di Dio. Ma mentre nell'Antico Testamento Dio era il padrone della vigna, custode buono e operoso, ma altra cosa rispetto alle viti, ora Gesù introduce una grande novità: io sono la vite, voi i tralci.

Facciamo parte della stessa pianta, come le scintille nel fuoco, come la goccia nell'acqua, come il respiro nell'aria, come i colori che si tuffano l’uno nell’altro e amandosi si fondono, senza gerarchie. Con l'Incarnazione di Gesù, il vignaiolo si è fatto vite, il seminatore seme, il vasaio argilla, il Creatore creatura.

Dio è in me, non come padrone, ma come linfa; Dio è in me, non come voce da fuori, ma come segreto della vita. Dio è in me, per meglio prendersi cura di me.

Questa è la stagione in cui profumano i fiori della vite; ieri il vignaiolo attendeva che la linfa, salita misteriosamente lungo il ceppo, si affacciasse alla ferita del tralcio potato, come una lacrima. Allora mio padre contadino diceva: è la vite che va in amore. C'è un amore che sale dalla radice del mondo, ad un misterioso segnale di terra, di sole, di vento, e in alto apre la corteccia che sembrava secca e morta, e la incide di fiori e di foglie.

Quella linfa, goccia d'amore che trema sulla punta del tralcio, è il visibile parlare di Dio. Così l’amore percorre il mondo, sale lungo i ceppi delle vigne, risale la mia vita, lo sento: la mia linfa viene da prima di me e va oltre me; viene da Dio e va in frutti d'amore; e dice a me, piccolo tralcio: ho bisogno di te, per una vendemmia di sole e di miele. Per la dolcezza dell'uomo e di Dio.

Il Dio contadino è mio padre, si dà da fare attorno a me, per stagioni e stagioni; non impugna lo scettro ma la zappa, non siede sul trono ma sul muretto della vigna. A contemplarmi, con occhi belli di speranza.

Non posso avere paura di un Dio così, che lavora la mia terra con tutto il suo impegno, che mi sta addosso, mi cura, mi nutre, mi pota perché io possa fiorire sotto il suo sole e produrre un frutto di bontà e di festa, sola perfezione dell’uomo secondo il vangelo.

Non puoi temere un Dio così, puoi solo sorridergli.

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Più che puilite, Dio chiede mani piene di vendemmia

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